martedì 5 dicembre 2023

La memoria rinnegata - Ricerca storica e analisi della realtà

Prima parte: Il tradimento


Il sostantivo “tradimento” ha acquisito oggi il significato prevalente di adulterio; quando se ne parla, ci si riferisce per lo più al tradimento all’interno di una coppia e, di conseguenza, ha assunto una significanza con una decisa sfumatura erotica: si tradisce per una passione, per un’attrazione sessuale incontenibile, o anche semplicemente per insoddisfazione all’interno della coppia consolidata[1]. Poi, secondariamente, soprattutto negli ultimi anni, ha acquisito una valenza politica, si è parlato infatti di tradimento degli elettori o di tradimento delle regole democratiche, quando c’è stato qualche voltagabbana, che ha fatto saltare governi, ecc. 
Nel linguaggio comune, si è quasi perso l’uso di altre significanze di questo sostantivo, probabilmente anche perché si è volutamente operata una purgazione della storia, per cui è meglio non affrontare, per esempio, il tema dei grandi tradimenti storici: non si parla volentieri del ripetuto tradimento dell’Italia, durante le due guerre mondiali[2]; questo velame che vuole occultare o stemperare una realtà storica, apre alla considerazione che il “tradimento” può essere variamente interpretato, secondo da quale punto prospettico si consideri. 

Il termine però ha significati ben più ampi e ricchi di sottigliezze; il sostantivo deriva dalla radice del verbo latino tradoistradĭditradĭtumĕre, che aveva una serie di significati che andavano ben oltre a queste riduzioni semantiche, alle quali abbiamo dovuto abituarci, anche a causa del progressivo abbassamento della capacità lessicale all’interno della comunicazione nei social, divenuta quasi più simbolica che verbale, nonché della povertà dell’informazione e del progressivo livellamento della vis politica, e, non ultimo, della decadenza di una scuola che insegna a fare, ma non a pensare, per cui c’è poco ricorso alla parola, soprattutto alla ricchezze delle sfumature del linguaggio.
 
Il primo significato che troviamo nel vocabolario Castiglioni-Mariotti è consegnare, porgererimetteretrasmettere, così lo troviamo in Cicerone optima hereditas a patribus traditur liberis gloria...la migliore eredità che possa essere trasmessa dai padri ai figli è la gloria, e sempre in Cicerone tradere alicui poculum...porgere a qualcuno una coppa; in Cornelio Nepote troviamo arma tradere...consegnare le armi, e ancora aliquem adversariis ad supplicium tradere...lasciare qualcuno in balia dei suoi nemici perché lo conducano a morte, e in Cesare si trova se tradere hostibus...arrendersi ai nemici. Si tratta di molteplici interpretazioni dell’atto di lasciare qualcosa a qualcuno.
Un secondo significato è quello di assegnareattribuireconcedereaccordare, così come troviamo in Cicerone id...es consecutus ut...ea ipsa...oratori propria traderes...sei riuscito ad ottenere tale risultato, ovvero ad attribuire all’oratore quelle stesse doti come a lui congeniali, sempre in Cicerone non postulabam ut ei carissimus essem, cuius ego sententiam meam tradissem...non pretendevo di essere troppo simpatico a un uomo a cui non avevo concesso la mia approvazione. 
Un terzo ambito è quello di cederevenderetramandaretrasmetterelasciare in eredità, sempre in Cicerone tenebimus hanc consuetudinem a Socrate tradita...conserveremo questa consuetudine ereditata da Socrate, e in Nepote mos a maioribus Lacedaemoniis traditus...le norme tramandate dagli antenati agli spartani. Ce ne è un altro, forse il più noto, quando lo si utilizzi con il significato di tramandarenarrareraccontareriferire, nella forma impersonale traditur si utilizza per iniziare una narrazione, si racconta, si dice, si tramanda...c’era una volta; ancora in Cicerone troviamo quarum nomina multi poetae memoriae tradiderunt...i cui nomi molti poeti hanno tramandato alla memoria (dei posteri); in Livio Agrestem quidam iussu Vitelli interfectum tradiderunt...alcuni hanno tramandato che Agreste fu ucciso per ordine di Vitellio. 
 
Possiamo osservare questa scheda, che proviene invece dal Vocabolario di Campanini Carbone:


per valutare che, malgrado la varietà di sfumature di senso, c’è un comune denominatore: il senso del passare qualcosa a qualcuno; si comprende allora meglio il significato profondo dell’altro sostantivo che si origina ugualmente da questo verbo, trādĭtĭotraditionis, che è quello di consegnareinsegnaretrasmettere, ovvero definire il percorso della tradizione, il passaggio dell’insegnamento da una generazione all’altra; e, la tradizione si mantiene anche con la conoscenza di testi in una lingua diversa da quella in cui originariamente sono stati scritti, per cui nel tardo latino, troveremo che il verbo tradoha originato anche il verbo traduco, tradurre e non solo, come si evince dalla scheda tratta sempre dal Campanini Carbone:


derivare, far derivare: aliquid in linguam romanam traducere...rendere qualche cosa nella lingua dei romani; come ben sanno i linguisti, ogni traduzione è un tradimento, perché è impossibile riprodurre in altra lingua l’essenza di una comunicazione che non è fatta di sole parole, ma anche di sensibilità musicale, di sensi e significati riposti in un termine che sono propri di quella lingua e non di un’altra[3]. È bene infatti ricordare quel che sosteneva Heidegger...ogni traduzione è un tradimento[4].
 
Il verbo latino è fortemente orientato nell’indagare il senso del lasciare qualcosa a qualcuno, del trasmettere, lasciare un’eredità, che può essere anche una pesante eredità, così come quella che resta quando uno scopre di essere tradito: il traditore compie una scelta sua sponte, sa dove vuole andare, il tradito si trova a dover rimettere in asse la sua vita: il primo rompe, ma i cocci li lascia al secondo. Tradere, verbo di relazione, che connette due o più persone, una generazione all’altra, verbo che trasferisce un’azione su un’altra persona, che unisce in un destino colui che opera il tradimento e chi lo subisce, che stabilisce una relazione anche non immediatamente evidente, che può riverberarsi nelle generazioni successive, come accade ai figli di genitori separati a causa di un tradimento, e persino nei secoli a venire.
 
L’eredità più imponente per la nostra storia, storia dall’Occidente, è quella rappresentata dal tradimento di Giuda, emblema ormai del tradimento stesso: giuda è il termine che è stato utilizzato per secoli dagli antisemiti per insultare gli ebrei, chiamati volgarmente giudei, non in quanto provenienti dalla Giudea, ma come eredi di quel Giuda traditore, e per questo assimilati per secoli alla colpa di Giuda e ritenuti si conseguenza eredi della colpa della morte di Gesù[5]. Dare del giuda a qualcuno, non ebreo, è ancor oggi un modo di insultarlo assimilandolo alle caratteristiche negative degli ebrei, sinonimo di inaffidabilità, di chi ha mancato alla parola data, di avarizia, ritenuta il peccato capitale degli ebrei, o peggio ancora di innata attitudine alla frode, per quella vicenda della vendita al prezzo di trenta denari. Giuda rimane nella nostra memoria così, così come ce lo ha consegnato Dante[6], collocato al fondo dell’Inferno, divorato dalle fauci di Lucifero[7], nella Giudecca, che da lui prende nome, dove sono collocati i traditori dei benefattori. Dante è il punto di arrivo di una tradizione ormai millenaria, che si era originata praticamente da subito, sulla base delle descrizioni all’interno dei Vangeli canonici, e su cui si soffermano i grandi padri della Chiesa, Agostino principalmente. Dai Vangeli a Dante, da Dante praticamente fino a qualche decennio fa, l’itinerario di questo tradimento resta sostanzialmente immutato, eppure è di per sé una somma di tradimenti[8]
Partiamo dall’insulto giudei, che è stato storicamente utilizzato partendo dal pesante giudizio su Giuda Iscariota, dimenticando volutamente, benché si apprenda proprio dalla genealogia descritta in Matteo, che Gesù discende da una delle dodici tribù di Israele[9], che è quella sorta dalla stirpe di Giuda, figlio di Giacobbe, che ebbe questo nome da sua madre Lea; Giuda, Yehudah in ebraico, deriva dal sostantivo yadah, che vuol dire lode, e che a sua volta deriva dal verbo che significa ringraziarelodare; da Yehudah deriva la tribù che attraverso Davide, protagonista  di altri celebri tradimenti,  giunge fino a Gesù, e dalla quale si origina il Regno di Giuda, da cui deriva sia il toponimo Giudea sia il termine giudaismo. Come si intuisce, l’assimilare i giudei a Giuda Iscariota il traditore, era già di per sé un tradimento della storia, di una evidente realtà documentata storicamente e geograficamente, si tratta di un riduzionismo funzionale ad operare una distorsione, che risponde ad una esigenza. 
Nella vicenda si annida tuttavia un altro tradimento: prima di arrivare alla celebrazione della Pasqua, che diventerà “Ultima Cena”[10], e alla vicenda che coinvolgerà Giuda Iscariota, Gesù era entrato solennemente in Gerusalemme...La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli! Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea»[11].

In Marco è minima la variazione, e sostanzialmente la narrazione è la medesima...E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betània[12]. In Luca troviamo una piccola variante, ma apprendiamo qualcosa in più, che i farisei entrano in un dialogo con Gesù...Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre»[13]. In Giovanni la descrizione si fa più articolata...Il giorno seguente, la gran folla che era venuta alla festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme, uscì a incontrarlo e gridava: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele!» Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: «Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, montato sopra un puledro d'asina!» I suoi discepoli non compresero subito queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, allora si ricordarono che queste cose erano state scritte di lui, e che essi gliele avevano fatte. La folla, dunque, che era con lui quando aveva chiamato Lazzaro fuori dal sepolcro e l'aveva risuscitato dai morti, ne rendeva testimonianza. Per questo la folla gli andò incontro, perché avevano udito che egli aveva fatto quel segno miracoloso. Perciò i farisei dicevano tra di loro: «Vedete che non guadagnate nulla? Ecco, il mondo gli corre dietro!»[14]. Lette queste descrizioni appare evidente che Gesù fosse conosciuto, noto, facilmente identificabile, circondato da folle; perché dunque ci sarebbe stato bisogno da parte del sinedrio di corrompere uno dei suoi discepoli per identificarlo, se era ormai personaggio pubblico, osservato e temuto dal potere organizzato, detenuto rigorosamente dai farisei? Evidentemente, le narrazioni sono state animate da una necessità altra, che non era quella di fornire un resoconto fedele degli accadimenti di quelle giornate di tribolazione; si è voluto per tanto tempo interpretare i Vangeli come testi storici, mentre essi soggiacciono ad una impostazione teologica che necessitava di creare intorno alla figura di Gesù una vicenda che desse ragione – una ratio humana – della successiva morte e trasfigurazione. Il fine teologico diventa tradimento della realtà storica, manipolazione; una manipolazione destinata a diventare devastante per la storia del popolo dei giudei. La vicenda del tradimento crea infatti lo stereotipo atto a demonizzare l’intero popolo ebraico. Se scorriamo qualche quadro dell’Ultima Cena, non è difficile individuare i tratti connotativi di come si sia formato questo stereotipo:

· nel dipinto di Giotto[15], che è una delle prime con argomento Ultima Cena, vediamo che a Giuda viene attribuita una aureola più sfumata, quasi accennata, e possiamo osservare anche l’abbandono di Giovanni sul petto di Gesù, altro elemento destinato a diventare uno stereotipo, presente nell’iconografia e nelle tradizionali narrazioni.


· nel dipinto di Andrea del Castagno[16], Giuda è ormai posto in posizione separata da tutti gli altri apostoli, dall’altra parte del tavolo, privato dell’aureola.


· anche nel Ghirlandaio[17] Giuda è separato da tutti gli altri, posto in posizione centrale, di fronte a Gesù, al quale si aggiunge ora anche il dettaglio della borsa, che rimanda ai trenta denari; anche qui ritroviamo l’abbraccio di Giovanni a Gesù. Al centro della prospettiva di chi osserva, c’è Gesù che sostiene Giovanni e Giuda di fronte, separato da tutti gli altri.


· il Ghirlandaio torna sul tema in questo altro dipinto[18], dove questa volta al centro dell’attenzione prospettica, c’è la borsa, perfettamente allineata con una sorta di lampadario che sembra voler funge da freccia indicativa.


· rilevo anche che Giuda ha assunto ormai quei connotati, che renderanno stereotipo l’ebreo rappresentato dall’antisemitismo razziale, che troviamo ormai ben definito nel dipinto del Maestro del Libro di casa[19], dove la borsa è in primo piano, e Giuda la sta maneggiando...


...e dove possiamo vedere la connotazione-identificazione dell’ebreo, che ha assunto quelle caratteristiche somatiche con le quali la propaganda antisemita razziale proporrà e che diventerà fatale nel delirio che giungerà al nazismo e alla Shoah.

· anche Leonardo non si sottrae a questo stereotipo[20]: come si può notare infatti tutti gli apostoli sono di pelle chiara, Giuda è di pelle scura, con i tratti somatici dell’ebreo della propaganda che da antisemitismo religioso diverrà antisemitismo razziale: la faccia, il naso aquilino, la barba...


· ...nel dettaglio si può vedere anche la borsa, tenuta strettamente in mano.
 

La narrazione con finalità teologica del Vangeli e degli Atti era stata funzionale a separare nettamente l’antico popolo del libro, gli ebrei, dal nuovo popolo, quello dei gentili, a cui si rivolgeva Paolo[21]. Benedetto XVI si è soffermato in due occasioni pubbliche sulla figura di Giuda, nell’Udienza Generale del 18 ottobre 2006; poi, nell’Angelus della domenica 26 agosto 2012, e in alcuni passi nel suo libro sulla Vita di Gesù[22]. Benedetto nell’udienza generale, dopo aver affrontato il dibattito sul nome di Iscariota, si pone due domande: la prima, come mai Gesù avesse scelto quell’uomo e gli avesse dato fiducia, malgrado in Giovanni, venga definito un ladro[23], tanto più che, come si può leggere in Matteo, Gesù, rivolgendosi a lui, disse...guai a colui dal quale il figlio dell’uomo viene tradito; Benedetto rimanda ad una sorta di mistero...il mistero della scelta rimane; la seconda, riguarda il motivo del comportamento di Giuda, perché costui tradì. Benedetto pone in modo estremamente chiaro l’aspetto del tradimento, che richiama una relazione all’interno della quale si pongono necessariamente differenti emozioni e differenti aspetti della relazione stessa. Benedetto risolve non sul piano della relazione personale, ma sul piano politico...Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico-militare del proprio paese; anche se riporta sul piano teologico il pensiero di Giovanni quando dice...il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo.  Siamo di fronte ad un tentativo di ridefinire la vicenda del tradimento, soprattutto perché Benedetto era ben consapevole che non si poteva accettare la tradizionale interpretazione che in qualche modo aveva indotto a ritenere che Giuda avesse fatto ciò che aveva fatto – il tradimento – perché questo era necessario alla successiva esperienza di Gesù, processo, crocifissione, morte, trasfigurazione; la qual cosa rendeva anche plausibile l’ipotesi che senza tradimento non avrebbe potuto darsi quella esperienza. Benedetto, nella successiva omelia, all’Angelus del 2012, si sofferma sulla possibilità che Giuda si fosse sentito tradito dalla delusione per la mancata decisione di Gesù di sollevare le folle in una vera e propria rivoluzione...si sentiva tradito, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito. Egli era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i romani. Ma Gesù aveva deluso queste attese[24]. Benedetto si decise ad affrontare questa tematica a seguito del clamore suscitato da non poche pubblicazioni che a partire dal secondo dopoguerra avevano affondato lo sguardo su Giuda. In realtà c’erano stati alcuni autori, in particolare nel periodo fra le due guerre che si erano dedicati a questo argomento, ma si tratta di autori ebrei, che di fronte alla recrudescenza dell’antisemitismo, avevano voluto ripercorrere i Vangeli, la vita di Gesù, e il tradimento, con lo scopo di ridimensionare la colpa ricaduta su tutto il popolo ebraico, che aveva fornito un solido appiglio alla propaganda razziale. Fu la dolorosa presa di coscienza dell’Occidente, dopo la Shoah, che sollecitò molti a riprendere l’argomento, cogliendo che  il legame fra la storica immagine di Giuda e il suo stretto legame con l’intero popolo, era alla base dell’antisemitismo religioso sul quale avevano facilmente allignato le nuove forme di razzismo, all’intero del quale era maturata una nuova forma di antisemitismo...il Giuda dei Vangeli è la velenosissima fonte dell’archetipo dell’ebreo eternamente demonizzato e maledetto, ha scritto Amos Oz, nel suo libro Gesù e Giuda[25], ma aveva già affrontato l’argomento del suo precedente romanzo, dedicato a Giuda[26]. In realtà, nel 1944, Luis Borges aveva pubblicato un racconto, Tre versioni di Giuda, dove sostanzialmente affermava che Giuda era stato scelto da Dio, così come aveva scelto Maria, per dar vita al suo progetto di salvezza dell’umanità, narrazione questa reperibile in parti dei vangeli apocrifi. Quindi non si potrebbe parlare di un tradimento, ma di un piano divino preordinato, che però rende ancor più terribile averlo interpretato come tradimento, e, soprattutto per aver avviato un percorso di colpa per un intero popolo, gruppo etnico, a cui appartenevano peraltro entrambi i protagonisti, Gesù e Giuda[27]. In Italia, nel 1975 escono due romanzi, L’opera del tradimento di Mario Brelich e Il quinto evangelio di Mario Pomilio, nel 1978 esce La Gloria di Giuseppe Berto, e così via, ma non solo in Italia.Che cosa accumuna questi scritti? Che sono tutti alla ricerca di un movente, perché un tradimento ha bisogno di un movente, che può essere usato come alibi, ma anche no; chi tradisce ha un movente, ne ha uno per sé e uno da fornire agli altri, e non sempre privato sentire e rendiconto pubblico coincidono. Se come smagati detective si va a dipanare le ragioni che possono aver indotto ad un tradimento, bisogna tenere nel conto le supposte motivazioni che gli altri danno – la concierge sa sempre qualcosa, i vicini di casa, i parenti, gli amici – o quelle che propongono ai lettori tanti giornalisti, cronisti, talvolta bizzarri e assai fantasiosi, che, a loro volta, tradiscono la cronaca a favore di una personale interpretazione[28]. Alcuni di questi romanzieri si erano già schierati a favore della tesi politica, che sembra essere avvalorata dalla descrizione di Giovanni, nel suo evangelio, perché accomuna il Sinedrio e i romani nel momento della cattura di Gesù[29]; la “delazione” ai fini politici sembra prevalere, Giuda sarebbe stato corrotto affinché potesse spiare le attività di Gesù, contrarie allo status politico controllato dal Sinedrio, e potesse fornire le prove della sua potenziale ribellione o non adeguamento alle imposizioni politiche. Potrebbe questa non essere una idea peregrina, se solo pensiamo che in tempi assai recenti la delazione è stata non solo spontanea, ma addirittura favorita dal potere costituito, in nome certamente del bonum commune, della salus publica, ma questo presunto bonum commune, non è stato forse un vero e proprio tradimento della Costituzione italiana e degli ideali di libertà su cui si fonderebbero le democrazie occidentali? Pensiamo inoltre alla delazione durante l’ultima guerra, promossa e ottenuta con relative ricompense; questo aspetto non può che condurci ad una visione estremamente relativistica della storia: chi vince la riconfigura, così il cristianesimo ha vinto nel corso del primo millennio, e la memoria del traditore finisce icasticamente al canto XXXIV dell’Inferno; alle stessa stregua la Resistenza ha contribuito alla vittoria e i delatori sono stati condannati ipso facto e affidati alla memoria come vili personaggi o condannati. L’adeguamento passivo alla volontà del potere costituito, ponendosi nella posizione di chi può controllare gli individui, anche facendo ricorso appunto alla delazione, è un dato di fatto, e pone un altro problema: i gerarchi nazisti, per esempio, si difesero sostenendo di aver solamente obbedito alla legge del potere costituito, e questo aspetto apre alla riflessione sulla banalità del male, ovvero se sia giusto obbedire ciecamente e acriticamente anche quando gli ordini superiori siano contrari alla morale, all’etica, e se così è, allora non possiamo non interrogarci su quanti hanno applicato anche in modo palesemente esagerato, e in modo del tutto acritico, le disposizioni governative nei recenti passati trascorsi, sempre in nome del bonum commune vel salus pubblica. Si può tradire allora quando sia per una nobile causa? E ritornando all’Italia, potremmo sostenere che il tradimento del patto d’acciaio, abbia salvato la nazione dalla barbarie nazista e fondato la democrazia; quindi, un buon necessario tradimento? Ai posteri l’ardua sentenza.
Benedetto, nella sua interpretazione, si cautela dal correre questo rischio, da lui assai temuto, di cadere in una deriva del relativismo, quando pone subito a confronto il sogno politico di Giuda e la visione trascendentale di Pietro, infatti quando costui si rivolge a Gesù dicendo...tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto che tu sei il santo di Dio, rivela che c’è una ragione superiore che distingue lui e gli altri apostoli da Giuda; a Benedetto la figura del traditore serve per contrapporre alla civitas terrena, rappresentata dalla debolezza umana di Giuda, la civitas dei, e non a caso prende da Agostino le parole...vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo ha capito, ha capito perché ha creduto [nella vita eterna]. Per altri Giuda era il predestinato, scelto dalla volontà imperscrutabile della divinità per dare corso al suo piano di salvezza, che è l’idea sostenuta nel Vangelo di Giuda, datato fra il 130 e il 170, dove si definisce Giuda un eroe che ha compiuto un atto di obbedienza, perché il sacrificio del corpo carnale, della umana forma in cui si era incarnato il Cristo, era necessario per adempiere al piano divino; un altro tradimento buono, necessario, funzionale; tradimento che si riverbera operando la divisione fra buoni, i cristiani, e cattivi, gli ebrei. Scartiamo infine l’ipotesi del vile denaro, che peraltro è divenuta storicamente quella prevalente, tanto che nell’iconografia Giuda è sovente rappresentato con la borsa, contenente i trenta denari; Giuda non era un semplice pescatore della Galilea, era un agiato proprietario terriero, che divenuto discepolo, gestiva i fondi della piccola comunità, e, qualcuno ha avuto la bontà di calcolarle il valore di quei trenta denari d’argento, che sarebbero oggi poco più di 200 euro: non avrebbero cambiato la vita a nessuno, né oggi né allora, né tantomeno ad un uomo facoltoso; abbiamo già considerato che non potevano servire per riconoscere un uomo ormai da tutta Gerusalemme ampiamente noto. Cerchiamo allora un altro possibile movente: Gesù interloquisce con Pietro, e, soprattutto, permette, come d’abitudine al prediletto Giovanni di abbandonarsi sul suo petto, perché come dirà proprio quel bravo giovane, divenuto poi estensore del quarto vangelo...lo amava[30], immagine anche questa destinata a diventare iconica nelle rappresentazioni dell’Ultima Cena. È possibile che in quel gesto, che la narrazione ci ha consegnato, ci fosse anche la gelosia? La gelosia di chi sente di essere mantenuto a distanza, di non essere considerato per il suo impegno nel gestire i fondi, così importanti per una comunità che si era formata da poco, ma aveva grandi aspettative, e di vedere che un altro ha così tanta attenzione da parte del Maestro? I Vangeli non sono teneri neppure su questo ruolo di economo di Giuda, insinuando una certa avidità, come riportato nell’episodio dell’unguento di nardo[31], e una qual certa leggerezza nel gestirli; non è singolare che sia proprio Giovanni a farsene portavoce; c’era forse dell’attrito fra Giuda e Giovanni, il prediletto dell’Uomo, che si proclamava figlio di Dio? La descrizione più dettagliata è quella di Giovanni, che, a quel terribile momento narrato, era però assopito sul petto del suo maestro, e chissà aveva forse anche lui un che di astio nei confronti di Giuda, perché sebbene assopito ebbe poi, decenni d’anni dopo, una ben viva memoria di quanto era accaduto quella sera della celebrazione della Pasqua, da renderne “fedeltà” di scrittura?[32] Benedetto XVI nel suo libro su Gesù ipotizza che Giuda...si sentiva tradito e decise che a sua volta lo avrebbe tradito, tradito per cosa? Soltanto per gli aspetti politici, o tradito perché non si sentiva amato? Un sentimento di abbandono può spingere a punire persino l’oggetto di tanto amor negato; le pagine dei quotidiani in questi tempi ci raccontano di questa furia che nasce dal sentimento dell’abbandono; e, a ben riflettere, assistiamo ab origine mundi al primo omicidio indotto dalla furia della gelosia che arriva all’atto estremo; Caino non uccide forse Abele perché Dio ha mostrato di gradire i doni di lui e non i suoi...Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto[33]. Il Signore, benedetto egli sia, sembra non comprendere, e insiste, rivolgendosi a Caino, che ne era rimasto...molto irritato e il suo volto era abbattuto...rimproverandolo bonariamente e ammonendolo...se non agisci bene il peccato è accovacciato alla tua porta...Caino, come è noto, reagisce, e agisce, dice a suo fratello...andiamo in campagna! E lì, lo uccide. E, anche in questa narrazione, si nasconde un tradimento: il Signore, Benedetto egli sia, che tutto vede, che tutto sa, sembra essersi distratto proprio nel momento fatale e abbandona Abele al suo destino: lui il prediletto, viene consegnato alla furia del fratello, morso dalla gelosia. E lo stesso Signore, non abbandona forse Gesù all’ultimo istante? Gesù alla fine si sente tradito, quando sulla croce, prima di spirare, non lo chiama più Padre, Padre mio, come sempre lo aveva chiamato; il grido ora si rivolge a Dio...Eli, Eli, lama sabachtani? Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Il padre non c’è più, latita, solo è rimasto Dio a cui rivolgersi. L’abbandono, la paura di non saper vivere senza qualcuno, induce ad uccidere e ad affrontare persino una vita, peraltro protetta, in un carcere; l’abbandono è un’arma letale. Anche la paura di essere abbandonati da sé stessi può diventare fatale, non è forse questa paura quella che spinge a mettersi ancora alla prova, come accade ai tanti traditori del consolidato talamo nuziale, quando inseguono qualche giovane collaboratrice, o quando hanno bisogno di carne fresca per non sentire il freddo dell’età che avanza, come Davide, Re d’Israele, che...era vecchio e avanzato negli anni e, sebbene lo coprissero, non riusciva a riscaldarsi. I suoi ministri gli suggerirono: «Si cerchi per il re nostro signore una vergine giovinetta, che assista il re e lo curi e dorma con lui; così il re nostro signore si riscalderà». La giovinetta, la bellissima Abisag – si premura di aggiungere l’estensore  ...curava il re e lo serviva, ma il re non si unì a lei[34]. Quando la potenza vitale sembra venir meno, quando non si è in grado di consegnarci alla senilità, si rimette in gioco la vita – rimettere, uno dei significati del verbo trado  la propria vita, e si porge a qualcuno l’amara coppa del tradimento, si consegna il tradito al supplizio. In quel talamo di Davide, per restare a curiosare nel suo letto, si erano addensati nuclei eccellenti per una fiction contemporanea su Netflix; infatti, la bella Abisag, compiendo la sua opera di badante del vecchio padre, conquista il cuore del figlio, Adonia, che mira a succedere al padre e che prova a mettere in atto una sorta di colpo di stato, ma il Re morente, davanti alla moglie Betsabea e al profeta Nathan, nomina il figlio avuto da lei, Salomone, come suo erede; Davide chiederà a Salomone di perdonare il fratello, ma quando costui insisterà per sposare Abisag, Salomone lo farà uccidere[35]. Un tradimento dietro l’altro, ma se risaliamo nella vita di Davide, ne troviamo un altro, destinato a segnare la storia; infatti, il Re ad un certo punto si invaghisce della bella Betsabea[36]; non è innamorato, non ha fatto ancora in tempo, l’ha solo vista dal suo terrazzo mentre lei fa il bagno, e la concupisce; scopre che è la moglie di un suo comandante, Uriel, in servizio al fronte; ma nulla ferma la sua concupiscenza, ordina di portare la donna a palazzo, dove la possiede e lei resta incinta. Richiama allora Uriel e gli chiede di svagarsi con la sua moglie, ma il generale si rifiuta di dormire a casa sua, quando i suoi soldati sono in combattimento; Davide insiste, ma Uriel vuole rispettare il suo codice morale di soldato, che non vuole correre rischi di nessun genere, allora chiama il suo generale Joab e gli ordina di mettere Uriel in prima linea, dove il malcapitato troverà la morte, a questo punto Davide è libero di sposare Betsabea. Il tradimento tramanda trasmette, il figlio di Davide e Betsabea, Salomone costituirà il regno di Israele e da lui discende la genealogia che giunge a Gesù, e la costruzione del regno di Giudea. Si tratta di un quadro sufficientemente ampio per comprendere quanto nel tradimento, per esempio di Giuda, o supposto tale, si annidi il senso del traditur, è infatti un racconto tuttora coinvolgente, e il senso del trasmettere, del lasciare un’eredità, quante domande ancora ci poniamo, quante risposte proviamo a darci intorno a questo evento, e poi ancora ritroviamo il significato proprio del creare una tradizione: pensiamo alla tradizione che riguarda lui e che lo ha consegnato alla storia come emblema del tradimento, e alla tradizione, profonda così significante per tutta la storia dell’Occidente, che di lì si è originata. E, in questa tradizione, che da quella storia si diparte, quante altre storie di tradimento possiamo scorgervi; chi vince, chi ha il potere, legge e ri-legge la storia, così possiamo scoprire, festeggiando la vittoria il 4 novembre, che dietro si nasconde il patto tradito, il 4 maggio del 1915, ponendosi persino contro gli alleati di poco prima; così celebriamo il ruolo della Resistenza, diamo valore all’armistizio e al passaggio da una parte all’altra dei belligeranti, dimentichi che la guerra era stata osannata dal popolo e che soltanto di fronte ai tristi esiti di quella, si era pervenuti all’idea di armistizio e che solo dopo che si era scatenata la furia degli ex alleati, nasce la resistenza. E, per concludere, ogni evidenza può essere variamente interpretata: Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. Dante narra dell’adulterio di Paolo e Francesca, entrambi sposati, ma non finiscono nei gironi dei traditori; sempre all’Inferno vanno, ma fra i lussuriosi; tanto che verrebbe da pensare che la passione dei sensi può giustificare un tradimento.
 
 

[1] Ci si dimentica assai spesso che il tradimento all’interno della coppia non ha soltanto origine nella sbandata erotica di uno dei due partner, perché, talvolta, questa sbandata è già conseguenza di un tradimento più subdolo: quando uno dei due è rimasto, in qualche modo, troppo legato alla famiglia d’origine; quando l’investimento eccessivo sul lavoro diviene una forma di abbandono e infine di tradimento; quando l’attenzione eccessiva per un figlio diviene tradimento che si pone a separare la coppia, invece di rinforzarla.
[2] Per correttezza, l’Italia ha avuto ottimi compagni nella storia, che sono rapidamente passati da un fronte all’altro, e persino da più fronti; un bel panorama sui traditori nella storia, lo offre Giulio Giorello, Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Ugo Guanda Editore, 2012. 
[3] Animula vagula blandula//hospes comesque corporis, è il famoso incipit di una poesia di Adriano Imperatore, nota ai più per essere collocata in epigrafe alle Memoires della Yourcenar, il romanzo che ripercorre la vita e il pensiero di Adriano. Animula, si tende a tradurlo con piccola anima, ma il diminutivo vezzeggiativo latino non sta ad indicare una misura, quanto piuttosto una sottigliezza, una impalpabilità, e Adriano, uomo di grande cultura ellenistica, aveva acquisito quella consapevolezza dello pneuma, il respiro vitale del prana della grande cultura vedica, l’essenza impalpabile della vita. La sua animula è l’espressione di questa leggerezza della componente spirituale dell’uomo.
[4] Lo sosteneva anche Croce, e fu ribadito da Calvino, a questo proposito si può consultare: Italo Calvino, Furti ad arte (conversazione con Tullio Pericoli), in Saggi 1945-1985, sous la direction de M. Barenghi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1982; Italo Calvino, Sul Tradurre, in Mondo scritto e mondo non scritto, ibidem; Italo Calvino, Tradurre è il vero modo di leggere un testo, in Saggi 1945-1985, ibidem. Anche Benedetto Croce aveva affrontato l’argomento, vedi Intorno a un’antologia di traduzioni italiane delle liriche di Goethe, in Goethe, quarta edizione ampliata, seconda parte, Bari, Laterza, 1946, e in Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Milano, Adelphi Edizioni, 1990.
[5] Benedetto XVI, nell’Udienza generale del 18 ottobre 2006, affermò...Già il semplice nome di Giuda suscita tra i cristiani un’istintiva reazione di riprovazione e di condanna.
[6]...dirompea co’ denti//un peccatore, a guisa di maciulla,//sì che tre ne facea così dolenti...e Virgilio spiega...Quell’anima là su c’ha maggior pena...è Giuda Scariotto,//che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
[7] Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIV.
[8] Addentrarsi in questa vicenda, aiuterà a comprendere le motivazioni e le finalità di un tradimento.
[9] Mt 1,1-16; Lc 3,23-38.
[10] Anche questo è un tradimento della storia, perché quella che era la Cena Pasquale, Pesach, a ricordo perpetuo dell’Esodo degli ebrei dall’Egitto, verrà rinominata così, rimodulandone il significato, con l’introduzione dell’Eucarestia.
[11] Mt 21,1-11.
[12] Mc 11,1-11.
[13] Lc 19,28-44.
[14] Gv 12,12-19.
[15] L’Ultima Cena di Giotto (Colle di Vespignano-Vicchio, 1267 circa – Firenze, 8 gennaio 1337) è un affresco (200 x 185 cm) databile al 1303-1305 circa, situato nella Cappella degli Scrovegni, a Padova.
[16] L’Ultima Cena di Andrea di Bartolo di Bargilla, detto Andrea del Castagno (Castagno, 1421 – Firenze, 1457), è un affresco (453 × 975 cm) databile al 1445-1450 circa, conservato nel Museo del Cenacolo di Sant’Apollonia, a Firenze.
[17] Il grande affresco dell’Ultima Cena (400 x 810 cm) di Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio (Firenze, 2 giugno 1448 – Firenze, 11 gennaio 1494), databile al 1480, è conservato nel Museo del Cenacolo di Ognissanti, a Firenze.
[18] Domenico Ghirlandaio ha dipinto altri due affreschi con la medesima tematica: il Cenacolo della Badia di Passignano (in figura), l’opera più antica (1476), realizzata in collaborazione con i suoi fratelli, conservato nell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano, a Tavarnelle Val di Pesa (Barberino Tavernelle), in provincia di Firenze, e il Cenacolo di San Marco (1486), molto simile a quello di Ognissanti, conservato nel Museo nazionale di San Marco, a Firenze. Un terzo era il Cenacolo di San Donato in Polverosa, intermedio tra quello di Passignano e quello di Ognissanti, andato irrimediabilmente perduto.
[19] L’Ultima cena del pittore tedesco Il Maestro del Libro di casa (conosciuto anche come il Maestro del Gabinetto di Amsterdam, 1445 circa – dopo il 1505) è un dipinto (131 x 75,6 cm) databile al 1480-1485 circa, conservato alla Gemäldegalerie di Berlino.
[20] L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) è un affresco (460 × 880 cm) databile al 1494-1498, realizzato su commissione di Ludovico il Moro nel refettorio del convento adiacente al Santuario di Santa Maria delle Grazie, a Milano.
[21] Paolo aveva impostato un superamento delle rigide norme imposte dall’ebraismo, per allargare la propaganda di conversione al cristianesimo ai gentili, e non tenendo in nessun conto quanto Gesù avesse detto...Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. Mt 5,17
[22] Joseph Ratzinger Benedetto XVI, Gesù di Nazareth – Dal Battesimo alla Trasfigurazione, Rizzoli, 2011.
[23] Giovanni scrive qualche decina d’anni dopo quegli avvenimenti, e la sua narrazione risente già delle vicende che la nascente dottrina incontrava a livello religioso e a livello politico.
[24] Benedetto XVI, Angelus, 27 agosto 2012.
[25] Amos Oz, Gesù e Giuda, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2022, pag. 30.
[26] Amos Oz, Giuda, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2014.
[27] Tradire, tradurre, tramandare, quante sottigliezze avevano colto i latini in questa azione, loro uomini di guerra, di legge, ritenuti poco inclini alla filosofia, eppure così finemente psicologi, e noi, eredi di quella cultura e di quella lingua, non stiamo forse tradendo le nostre radici quando vorremmo ne fosse fatta piazza pulita, quando dimentichiamo non solo la lingua, ma il patrimonio culturale intero che ha cesellato l’Occidente?
[28] Chi abbia letto qualche romanzo di Simenon e sia rimasto affascinato dal commissario Maigret, potrebbe stendere un ricco inventario di moventi e di interpretazioni.
[29] Gv 18,1-27: 1Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. 2Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. 3Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. 4Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. 6Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». 9Perché s’adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 10Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». 12Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono 13e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno. 14Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo». 15Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; 16Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. 17E la giovane portinaia disse a Pietro: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. 19Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. 20Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 22Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». 23Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». 24Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote. 25Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». 27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. 
[30] Gv 13,23.
[31] Gv 12,1-9: 1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: 5«Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». 6Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
[32] Gv 14,21-30: 21Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». 22I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. 23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. 24Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di’, chi è colui a cui si riferisce?». 25Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». 26Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. 27E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto». 28Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; 29alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. 30Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
[33] Genesi 4,3-5.
[34] 1Re 1,1-4. E, quando lessi questo brano per la prima volta in illo tempore, una voce sottile si insinuò nella mente per sussurrarmi...excusatio non petita, accusatio manifesta.
[35] 1Re 1,5-53; 1Re 2,1-25.
[36] 2Sam 11,1-16.

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