Genova, Palazzo Ducale
3 e 4 febbraio 2004
Del Tempo e dello Spazio
Immaginiamo di essere stati calati dall'alto e collocati in quel tratto di strada che da Piazza Matteotti, fra palazzo Ducale e la Chiesa del Gesù, risale fino a Piazza De Ferrari e volgiamo lo sguardo verso la Piazza, lasciamolo scorrere su questo largo, che è faticosamente piazza, e faticosamente acquisita a prezzo di profonde modificazioni urbanistiche e architettoniche:
un pronao di teatro - quel che resta del teatro del primo Ottocento, che si ispira ad un tempio classico - appiccicato ad manufatto moderno con la gigantesca torre, che elevandosi ingombra il cielo, di fine novecento, con il palazzo a fianco dell'Accademia, coevo a quel pronao, ma realizzato nello stile del tempo, già sede di una storica biblioteca cittadina, ora sede dell'Accademia che lo connota nel nome, sullo sfondo spunta un grattacielo anni sessanta, in un territorio di città storica, acquisito a prezzo di imponenti distruzioni del quartiere del '600, che hanno dato alla città una city, e l'irrompere di Via XX Settembre, che per essere realizzata avviò la profonda trasformazione di questo territorio.
Tutto è accostato, affastellato, le singole componenti sembrano piovute dal cielo e innestate un po' a casaccio, e la fontana - bellissima soprattutto nell'ultima versione di questo millennio - con i giochi d'acqua che la circondano non riesce, ma non ci riusciva neanche nella versione del millennio precedente, a dare unità a questa molteplicità di componenti, eppure, come in un quadro di De Chirico, tutto trova un posto, in una dimensione che se non possiamo sottoscrivere come metafisica è certamente metastorica.
Soffermiamoci e guardiamo questo insieme: siamo di fronte a una città spregiudicata che, modificando, distruggendo, recuperando, innestando e ricreando, ci racconta - in uno spazio ristretto - i secoli della sua storia: il tempo lungo di Genova ha sempre dovuto fare i conti con uno spazio ristretto schiacciato fra colline pietrose e scogli di mare. In quello spazio Genova ha giocato con l'architettura il suo tempo e la sua storia[1].
Voltiamoci verso Piazza Matteotti e di nuovo lasciamo che il nostro sguardo scorra: Palazzo Ducale da questa parte poco conserva della sua origine medievale, un'ala del palazzo come risulta fra rimaneggiamenti classici neoclassici e novecenteschi, la Torre medievale, la cupola e il campanile della cattedrale gotica, la Via San Lorenzo, che come per Via XX Settembre si apre a prezzo di una modificazione urbanistica importante, che rompe il tessuto medievale e ne fa emergere uno ottocentesco, un nuovissimo palazzo che vorrebbe essere postmoderno, ma è solo anni sessanta, a sanare macerie della guerra, come d'abitudine del resto nel cuore della città, così detta vecchia[2].
Voltiamo ancora le spalle e puntiamo lo sguardo esattamente dalla parte opposta: ancora troviamo questo assieparsi di epoche, di stili, di memorie, l'altra ala di palazzo ducale, la Chiesa del Gesù Cinquecentesca, il Grattacielo - il primo, il grattacielo per antonomasia - e la porta Soprana del XII secolo, veramente da scoprire come farebbe un archeologo, fra tutto quello che ormai la sovrasta, la Porta è là con le due torri, segno inconfondibile della Genova ormai capitale di un impero economico in grado di esprimere la sua opposizione all'Imperatore Istituzionale[3].
Tutto in successione, i tempi materiali della storia, come fondali di un teatro dell'Opera, pronti ad essere collocati in primo piano all'occorrenza, e allora portiamoci in primo piano la Porta e raccontiamoci la storia di Genova dalla I Crociata e dalla conquista di Gerusalemme, e la II Crociata, il dissidio con l'Imperatore, la costruzione della cerchia delle mura; Genova fra Oriente e Occidente; Genova capitale del mediterraneo occidentale, orientale, del Mar Nero. Fermi sotto quella Porta, leggendo una memorabile iscrizione di affermazione di vittoria, possiamo raccontarci un pezzo di quella affascinante storia del XII secolo, un pezzetto di micro storia che consegna Genova alla storia major.
Lo Spazio è quello che è, e il Tempo secolare di questa storia minor e major, ha dovuto, come un antico scriba benedettino, raschiare pagine di un codice su una pergamena per scrivere un altro codice, facendo una scelta, qualcosa non serve più, qualcosa serve ancora, qualcosa si tiene, qualcosa si butta.
Della Spregiudicatezza
Spregiudicatezza di una città che si rinnova e che deve fare i conti con un territorio angusto, una crescita tumultuosa, una memoria densa, che un secolo dopo l'altro, per dieci secoli, deposita palazzi su palazzi, traccia archi, strade, disegna volte, portali, eleva torri, campanili, si aggroviglia, e si costringe alla scelte, e sceglie: di queste scelte a posteriori potremmo discutere una notte dopo l'altra come Shahrazad con il suo califfo, ma le scelte ci sono state, e nulla può mutare il risultato, e Genova, quello che di Genova andiamo in giro a vedere, è frutto di quelle scelte.
Per incontrare Pompei dobbiamo rimuovere lava e cenere, per incontrare Genova dobbiamo identificare percorsi, scoprire fondali e ammirare nuovi fondali, da sollevare per scoprirne ancora.
Genova non si offre: tocca a noi andare a scoprirla, a decodificarla, con un lavoro paziente di scavo, con indicazioni di assenze, che possiamo recuperare nelle meravigliose quadrerie dei suoi palazzi antichi e superbamente chiusi, nelle biblioteche, negli archivi e nei libri. C'è una Genova che si vede e una Genova che non si vede, o almeno non si vede subito: spostiamo lo sguardo sulla Chiesa del Gesù: all'esterno una chiesa quasi anonima, poco più poco meno simile a molte chiese di altre città o di paesoni con poca storia, facciate come queste se ne trovano a bizzeffe nel sud della Spagna, ma basta varcare la soglia per capire che Genova dobbiamo andare a scoprirla. Città ritrosa che ha bisogno di amanti seduttori, che vogliano concupirla e spogliarla lentamente, dentro la Chiesa c'è tutto il fasto genovese della città aurea da Andrea Doria al Settecento: una quadreria che non è facile trovare altrove, Rubens, Reni, e altro ancora, volendo si può tenere una lezione di storia dell'arte andando su e giù per le sue navate e insieme raccontare la storia di qualche nobile famiglia genovese.
La Chiesa del Gesù non è che un esempio di quello che si può trovare in altre chiese e palazzi genovesi, che all'apparenza potremmo quasi definire dimessi, in parallelo, ed è solo un altro esempio fra molti possibili, la Chiesa della Nunziata, quasi brutta all'esterno, ormai per giunta così decontestualizzata, sempre per quel gioco di tagliare, togliere, accostare, rimettere, lo spazio è angusto e i soprammobili non possono stare tutti in primo piano, ma bisogna entrarci dentro alla Chiesa del Vastato, per capire cosa può nascondere a Genova una Chiesa, un Palazzo.
Prima di uscire dalla Chiesa, alzare gli occhi per ammirare l’Ultima Cena del Procaccini; alzare gli occhi uscendo perché a Genova si può trovare un capolavoro collocato nella controfacciata, sopra il portale d’ingresso.
E l'esempio si ripete ancora a San Filippo in Lomellini, certamente quel bel barocco della facciata è più invitante, ma anche qua il fuori non vale il dentro, bisogna entrare e ammirare stupiti la Chiesa e lasciarsi ammaliare dall'Oratorio, standosene per un po' con il naso all'insù. Genova spregiudicata nel suo vuotare solai e cantine, nel ridisegnare il territorio a seconda delle necessità, è anche città discreta che non si lascia concupire con facilità, occorre farsi avanti, sedurla.
Della Discrezione
Genova esige curiosità, pazienza, vuole che acquistiamo confidenza, per lasciarsi scoprire: possiamo camminare per Canneto e raccontarci la storia di quella ruga fra le più antiche, sotto il Castrum, nucleo storico originario di questa città, cuore della vita commerciale fin dalla fine del I millennio, centro di incontro di genti straniere, allora come ora[4].
Lasciamoci prendere dalla curiosità e scostiamo un portone, di quelli contornati da portali di marmo, non è importante quale sia, se accompagniamo qualcuno gli verrà la curiosità di saperne di più e magari di leggersi un libro, entriamo e godiamoci l'atrio o una spettacolare grottesca o gli affreschi o le colonne di marmo, o la scala gotica; un portale e un portone dopo l'altro da Canneto a San Luca, dalle Vigne a Posta Vecchia, da Vico Mele a Piazza Senarega, da Via del Campo a Vico Sant'Antonio, ogni schiudere di portone spalanca uno scenario nuovo, una fetta di storia e un tassello di storia dell'arte. Di questa città certamente, ma decoratori, pittori stranieri, marmisti, scultori d'ogni parte d'Europa, consentono anche in questo caso di parlare di una storia dell'Arte locale con uno sguardo alla Storia dell'Arte. L'esempio di Rubens è, ancora una volta, soltanto uno dei possibili.
Della Superbia
Soffermiamoci un momento, anzi continuiamo a passeggiare su e giù per Canneto il lungo, dove possiamo ancora fare la spesa, dove la vita c'è ancora, andiamo su e giù per questa via di gente e di storia, e la prendo volutamente come esempio, lasciando altrettanto volutamente da parte Via Garibaldi, che di per sé è un monumento troppo noto, che illustra la città, ma non la esaurisce, anzi la limita, perché si rischia inseguendone la successione di dimore principesche di immaginare che quella sia Genova, quella invece è soltanto una parte di una Genova, molto particolarmente datata.
Contiamo i portali monumentali che si aprono dunque in questa via, Canneto, guardiamo al di là di portoni, di solito tenuti chiusi, scale monumentali, grottesche, androni colonne, granito, marmo, stili diversi, ma è una opulenza oserei direi che non ha eguali nel mondo.
E non c'è soltanto appunto il Cinquecento dei ricchi finanzieri di Via Aurea, c'è il Duecento, il Trecento, il Quattrocento, il Cinquecento, il Seicento e persino il Novecento.
Una strada così c'è anche a Pienza, c'è a Ferrara, e così via, certo che sì, ma là è
una strada sola, qui c'è Canneto, e poco più in là, Lomellini, e poi Via del Campo, che da sole sono un libro spalancato sulla Storia della città dalle origini ai giorni nostri, dalla più antica alla più recente, c'è ancora via Balbi, con la successione di palazzi, Palazzo Balbi, più ancora che Palazzo Reale, da solo è un monumento, una cattedrale di scale, di colonne, che salgono verso l'infinito.
Per andare in Paradiso a Genova non c'è soltanto l'ascensore di Castelletto, ma anche le scalinate di palazzo Balbi fino al Giardino Botanico, un saliscendi inesauribile come in un quadro di Escher.
E da Via Balbi a Via Cairoli a Via Garibaldi, davanti a ogni palazzo, a ogni famiglia che l'ha costruito o commissionato, si può stendere la storia della città e dei suoi collegamenti politici e finanziari fra Cinquecento e Settecento, spaziando dalle alleanze con la Spagna, con il Divano di Costantinopoli, con la Francia del Re Sole.
Secoli di gloria, di enormi ricchezze, e anche di umane debolezze.
E se Via Garibaldi ci offre come dicevo un affresco datato, non è pur tuttavia Genova, Genova è quella degli stili affiancati, dei secoli accostati, di scenari teatrali dove dobbiamo andare a ripescarci arte, storia, manufatti, strutture palazzi, monumenti, ficcati quasi a caso nello stesso magazzino, la città che si è stratificata, vero deposito di secoli, di storia di urgenze economiche e sociali, moli antichi sui quali si aprono manufatti moderni, tutta la città si piega al volere delle sue urgenze, ma il motore è e resta il suo specchio di mare, all'origine il porto naturale, oggi motore della nuova economia turistica.
La città fotografata, non tanto nei suoi aspetti, luoghi separati, un'infinità tuttavia che ha pochi riscontri, ma nel suo farsi, ci esprime una continuità di popoli di stranieri, che insieme ai locali la forgiano, la connotano, forse la violentano, eppure la fanno unica per questo. E di questo e non altro che può andare Superba.
Della Teatralità
Genova, vecchia attrice, buona per tutte le parti. Questa città nel suo teatro steso fra mare e monti si presta per infiniti spettacoli, ma a teatro dobbiamo andarci con gli occhi aperti disincantati e pronti anche a cogliere la finzione, a Genova appunto bisogna starci e muoverci e lasciarsene commuovere con lo stesso spirito con cui si va a vedere-sentire l'opera, lo sappiamo tutti che Violetta morirà di tisi, fin da quando c'è festa a casa di Flora, eppure se tutta la macchina teatrale funziona e il soprano è eccelso, chi è che non si lascia andare a pensare che potrebbe succedere qualcosa, magari il dottore arriverà con la penicillina e tutta la storia prenderà un'altra piega.
Ecco, quando ce ne andiamo a portare a spassò l'allievo che è in noi, il primo e unico allievo vero di cui dovremmo avere cura, dovremmo andarci con lo stesso spirito, sapendo che siamo a teatro, sperando che tutto funzioni e lasciarci andare alla commozione, e stupendoci, perché una città così è rara, e la sua rarità è soprattutto perché è vissuta, perché è stata vissuta, e possiamo anche immaginare che un dottore arrivi con la ricetta urbanistica e architettonica a salvare, ma da cosa non si sa - la malattia non è dichiarata, a meno che non sia la vecchiezza - dovremmo invece chiederci se davvero è bene tutelarla tanto, musearla, vincolarla consegnarla alle Banche in cambio di un rifacimento di un affresco e lasciare agli uffici i suoi luoghi migliori, perché la grandezza di questa città è appunto che è un monumento a cielo aperto vissuto, abitato, modificato da almeno novecento anni.
Pubblicato nella Selezione degli Atti del Convegno "Storia Locale e Archeologia a Scuola" a cura di Cecilia Ferraris, 2005, IRRE Liguria.
[1] I giochi d'acqua a lato della fontana e la risistemazione della piazza appartengono a questo millennio (2001); il rifacimento del Teatro dell'Opera risale ai progetti per le celebrazioni dei 500 anni della Scoperta dell'America; la piazza in sé è frutto dello sbancamento della Collina di Sant'Andrea e del Convento dei Domenicani di fine '800, insieme all'apertura della nuova direttrice stradale di Via XX Settembre, Via Roma; i grattacieli della City sono la risultante dello sbancamento del quartiere seicentesco di Piccapietra; il prospetto di palazzo Ducale sulla piazza è quanto resta del palazzo trecentesco.
[2] È stupefacente pensare che, malgrado sbancamenti, distruzioni di antiche strade, borghi, interi quartieri - Piccapietra, Madre di Dio - questa città vecchia che sostanzialmente sorge su una struttura medievale ha continuamente cambiato forme e volumi, resta il più grande centro storico che esista al mondo.
[3] Le mura e la porta costruite per difendersi da Federico Barbarossa, punto d'arrivo di una evoluzione iniziata con la I Crociata, e punto di partenza per la grande storia di Genova sul Mediterraneo. Arrivando a quella Porta dal Castrum, lungo Canneto e ripartendo di lì verso il Ducale, San Lorenzo, i portici di Sottoripa e Palazzo San Giorgio, si può leggere sia la Storia incredibile di questa città da quando parte per la I Crociata alla conquista di Gerusalemme fino alla metà del XIV secolo, sia la Storia del Mediterraneo e dell'Europa. Genova crocevia di mercanti, di affari e di culture, si presta a essere lente d'ingrandimento della storia major come poche altre città di quel tempo.
[4] Sugli stranieri che si muovono per questa strada o per le sue traverse, già dal cartolare dello Scriba, nella seconda metà del XII secolo, ne conosciamo nomi e potremmo dire volti, sono magrebini, siriani, egiziani, greci, catalani, corsi, allora come ora, si aprono scenari per parlare di storia, di società, di usi e costumi, e la vitalità di questa via e di quelle adiacenti, di questa via ancor oggi riproposta dai negozi, dai magazzini degli extracomunitari levantini, che hanno ancora il gusto del bazar, mentre è triste vedere l'infilata di negozi cinesi tutti uguali con la stessa merce nella stessa fredda disposizione tutta uscita dalle stesse fabbriche del lontano Oriente.
Nessun commento:
Posta un commento