giovedì 31 ottobre 2019

Ottobre: Il cavolo cappuccio

Le giornate sono dense di umidità, l'odore di terra bagnata pervade l'aria, frizzante, ma non ancora così fredda; piace ancora stare fuori a godersi le foglie accumulate ai bordi delle strade, gli alberi stecchiti, che si stampano sul cielo, con uccelli neri appollaiati che gracchiano consapevoli forse che arriverà la stagione per loro più faticosa. 



Entrando in casa da fuori, si percepisce subito, per contrasto, quel caratteristico aroma; sono arrivati anche loro: i cavoli! Quello detto cappuccio, bello, verde, liscio, denso, è un bell'omaggio dell'orto generoso, ma non ti lascia scampo, ti insegue con il suo aroma - aroma? Si fa per dire - in ogni angolo della casa, scivola sotto le porte chiuse, intrepido se ne va su per le scale, entra nella stanze audacemente, come a dire: eccomi, sono arrivato! In questi giorni, che precedono la festa dei Santi si va con le gioie dell'orto. Oggi tocca a loro, che se si vince il disturbo dell'olfatto, non sono poi male, almeno così come si cucinano da queste parti.


Cavolo cappuccio semplicemente in umido.

Si tolgano al cavolo le foglie esterne, quindi dopo averlo tenuto un poco a bagno, si taglia il tutto a listelle il più sottile possibile.Si dia un'asciugata alle foglie. In una casseruola capiente si metta olio, uno spicchio d'aglio e qualche acciuga sotto sale. Appena l'olio imbiondisce si metta il cavolo, poco per volta, per permettere di perdere volume e aggiungere fino a quando tutto sarà contenuto nel recipiente. Lasciar appassire poco per volta, aggiungendo un mezzo bicchiere di vino cortese e mezzo di aceto, fino a quando tutto sarà ben appassito. Se occorre salare. Servire caldo, è un buon accompagnamento delle carni o di qualche sformato di verdura.

martedì 29 ottobre 2019

Ottobre: Il pane per i morti.

Qualche giorno prima della festa, ci si metteva a preparare il "pane dei morti", che in allora si chiamava pane "per" i morti, fatto appositamente per sistemarlo sulla tavola alla sera della giornata dei Santi, per la celebrazione della successiva giornata dei Morti, poi le cose sono cambiate e così è diventato il pane dei morti, che non significa che ce lo mandano loro, come diremmo il regalo della zia Antonietta, ma rimanda invece quel "dei" all'impasto, come si direbbe la torta di pere. Quel "dei" che ha privato i morti di un dono per loro nel giorno della commemorazione, diventa così una metafora del composto, che potrebbe essere inteso come qualcosa che rimanda alla terra della sepoltura, alle ossa frantumate, a qualcosa che è ricavato dai residui di qualcosa che era vivo. In effetti si utilizzano biscotti che si hanno già in casa, e frutta secca, ma il parlare di un tempo aveva una sua forma di rimandare alla sacralità del rito. 
Si preparavano alcuni giorni prima, perché il meglio di sé lo danno dopo qualche giorno, e non si potevano mangiare fino alla mattina del giorno dei Morti: erano un dono per loro, pertanto solo dopo che la notte fra l'una e l'altra festa, era trascorsa, si potevano gustare. Oggi, le pasticcerie li preparano seguendo una ricetta precisa; in allora siccome si facevano con quello che di base si aveva in casa, la ricetta era piuttosto variabile, così ogni anno erano sempre un po' differenti dall'anno precedente, eppure anche sempre gli stessi.


Il pane per i morti

La ricetta è così, a grandi linee, si usava quel che si aveva e si impastava per averne un discreto numero.

Si prendano degli amaretti e se ci sono dei biscotti savoiardi, si frantumino e si portino a polverizzare nel mortaio. Lo stesso si faccia con le nocciole che infine siano di volume pari a quello dei biscotti, si aggiungano uvette ammollate nel passito, fichi secchi tagliuzzati, una manciata di pinoli. Si intrida il tutto con farina e cacao amaro, un poco di cannella, una grattata di noce moscata; si aggiunga infine zucchero da rendere dolce l'impasto, del vino liquoroso (il passito è ottimo) e albumi d'uovo quanti ce ne vogliano. L'impasto è morbido ma ben contenuto. Se ne facciano con le mani dei panetti che saranno schiacciati in modo da averli di circa un centimetro di spessore. Si pongano sulla carta oleata e si pongano a forno caldo, ma non troppo, per circa mezz'ora. Freddi che siano si cospargano di zucchero a velo.

lunedì 28 ottobre 2019

Domenica: la musica, quell'altra!

Ad una cert'ora, quando gli ospiti se ne uscivano per tornare a casa, ma talvolta qualcuno restava e gli si dava cena, era l'ora di mettere tavola e di accendere la radio, perché c'era Ballate con noi, imperdibile!


Metteva allegria a tutti quanti, la musica si mescolava con il crepitare della legna nella stufa, con l'odore dell'immancabile minestra, leggera per compensare l'eccesso del pranzo domenicale. Certe sere in attesa di sedersi a tavola si ballava, e noi bambini guardavamo straniti gli adulti, che abbandonavano l'abito di censori per lasciarsi andare con un certo dinamismo in piroette, risatine, ammiccamenti e insoliti movimenti. Flo Sandon's trascinava con il suo El negro zumbon


tutti in  giro al tavolo, e se per caso passavano Glenn Miller, non ce ne era più per nessuno. 


Domenica: La musica

Nei pomeriggi dei giorni di festa, quando il tempo ti chiudeva in casa, ci si liberava dalle incombenze, e si poteva stare a far niente. Far niente forse è un’espressione eccessiva: mani sapienti, intorno al tavolo del grande camerone, rammendavano, cucivano, lucidavano; a qualcuno era concesso di leggere il giornale in santa pace, ma il tutto avveniva in modo più sereno, si poteva stare tranquilli a ciciaré Se fosse passato qualcuno a far visita, e di solito accadeva, non era certo il cattivo tempo a fermare ardite vecchiette. si chiacchierava di cosa fosse successo un poco più in là, del figlio nato a..., del fidanzamento di..., e quasi sempre di qualcuno che se ne era andato..., pace all'anima sua...ha finito di soffrire..., e poi della vendemmia, di qualche raccolto, della legge sulla mezzadria, delle ingiustizie sociali, e così i minuti conquistavano lenti per alcuni, veloci per altri, le ore. E poi si metteva un disco sul grammofono. 


L’Opera conquistava tutti, chi non conosceva i cori verdiani a memoria? Romanze da canticchiare faticando o per trastullarsi. Inevitabili le discussioni, Callas o Tebaldi, del Monaco o Corelli; le voci di un tempo che non ci sono più, la Arangi Lombardi! La Tetrazzini e Carlo Galeffi, che Trovatore! E la Pacetti, un’ Elvira così quando mai ce ne sarà un’altra?


La Callas o la Cerquetti non erano ancora assurte alle voci di un tempo che non ci sono più!

domenica 27 ottobre 2019

Ottobre: L'ultima domenica

Appena oltre il cancello ogni cosa è scomparsa, immersa in una nebbia fitta, che stamane sembra invincibile, erta dal suolo a proteggerci tutti quanti; la giornata si muove lenta lenta, si sta come assediati a predisporre le scorte raccolte nei giorni precedenti, quando ancora il sole aveva steso la sua protezione.



Si allargano le noci, che si asciughino e non facciano muffe, si stendono le castagne, che ci hanno portato qualche giorno fa, in una apposita griglia da tenere vicino alla stufa per togliere la prima umidità; non sono molte, probabilmente non ci sarà bisogno di essicarle, finiranno cucinate velocemente. È domenica, in tarda mattina, chi non è uscito molto presto per la Messa delle 8, si preparerà per andare a quella delle 11,30. La domenica che precede la festività dei Santi tradizionalmente ci si astiene da cibo di provenienza animale. Così, grazie alla generosa produzione di zucche, oggi avremo le tagliatelle con la zucca impastata dentro che le dà un bel colore arancionato, e una torta dolce di zucca. 



Tagliatelle con la zucca 


Pulire la zucca, in modo da averne circa un etto per ogni due etti di farina circa (dipende dall'umidità della zucca. Tagliarla a dadini e farla appassire in una padella coperta, aggiungendo un appena di acqua per farla iniziare a buttare la sua, quando è morbida sfarla con i rebbi di una forchetta e metterla in una garza che dia tutta l'acqua, spremere ogni tanto per aiutane la fuoriuscita. Predisporre la farina a fontana, aggiungere la polpa della zucca e un uovo ogni due etti di farina; impastare fino ad ottener un impasto adatto a tirare la sfoglia. 


Lasciar riposare dopo aver steso un velo di farina, per almeno una mezz'ora. Quindi stendere la sfoglia o le sfoglie non troppo sottili. Lasciarle asciugare bene ora che sono distese. Poi arrotolare la sfoglia e tagliare nella larghezza preferita, meglio mantenere un taglio da pappardelle. Si condiranno con un crema di castelmagno e un trito di nocciole. 


Torta semplice di zucca 

Cominciamo dalla zucca; bisogna averne 250g, sbucciata e mondata, tagliarla a pezzettini, porla in un tegame con un filo di acqua, e coprire con un coperchio; deve cuocere a fuoco lento fino a che non si sarà completamente sfaldata, girarla spesso e se serve aggiungere un cucchiaio d'acqua, solo per aiutare la cottura, ma poi bisogna farla asciugare bene. Quando cotta metterla in una terrina sfarla completamente e farla raffreddare. In un'altra ciotola montare 140g zucchero, o anche di più, dipende dal dolce del frutto con un uovo, un pizzico di sale, poi aggiungere 70g di burro fuso, dove sia stato collocato un baccello di vaniglia e la purea di zucca, amalgamare e aggiungete 235g di farina di riso, con il lievito infine le spezie polverizzate (chiodo di garofano, cannella, anice stellato). Imburrare e infarinare uno stampo da plumcake e infornare a 170° per circa 40/50 minuti. 


Quando fredda, si cosparga di abbondante zucchero a velo.

giovedì 24 ottobre 2019

Ottobre: Le castagne

Sono lunghi i pomeriggi quando piove; il cielo ingombro, l'aria cupa come fosse già sera costringe a tenere la luce accesa, l'umido pervadente, lo schioppettìo della legna nella stufa fa da colonna sonora; sembra che siano state dette tutte le parole.


Intorno al tavolo grande, le mani muovono rapide un coltellino per incidere le castagne, che, appressandosi l'ora della cena, finiranno su una padella bucherellata, da porre sulla stufa, per avere le caldarroste. Poi, qualcuno cominciava a raccontare...


c'era una volta, in un tempo molto molto lontano, una famiglia di ricci che viveva in un bosco di montagna, mamma riccia, papà riccio e i loro ricciottini. Accanto alla loro tana c’era un enorme albero pieno di castagne. Accadeva però che, ogni giorno, certi scoiattoli affamati si avvicinassero all’albero per sfamarsi, e così si mangiavano tanti di quei frutti. Un bel giorno, la famiglia dei ricci sentì delle lamentele provenire all’albero e tutti insieme, mamma, papà e riccetti si avvicinarono, e il papà riccio salì sull'albero da cui proveniva il lamento e vide tutte le castagne assai tristi; erano loro a lamentarsi, perché gli scoiattoli se le mangiavano un giorno dopo l'altro. Insieme, castagne e ricci, escogitarono un bel piano: papà riccio, mamma riccia, con tutti i loro piccolini si offrirono di proteggere le castagne. Quando si fossero avvicinati gli scoiattoli, le castagne si sarebbero nascoste dentro ai ricci. E così fu fatto.
Da quel giorno, gli scoiattoli si punsero e non vennero più a disturbare le castagne. Ecco perché, ancora oggi, le castagne mantengono il loro riccio per proteggersi dal nemico.
A nessuno interessava sapere come da quel giorno si sarebbero sfamati gli scoiattoli...

mercoledì 23 ottobre 2019

Le mele del Paradiso

In un giorno, verso la fine dell’autunno si palesavano la Clotilde, che aveva sposato un cugino, ma era presto rimasta vedova di guerra, e la sorella Mariuccia, che vivevano qualche paese più in là, e nel loro piccolo giardino di casa avevano due alberi di melograno; ne portavano due borse piene, che ripartendo avrebbero contenuto qualche zucca, mele, uno o due barattoli di marmellata, e quant'altro.


La Clotilde, che era ancora una gran bella donna - e con questo abbiamo detto tutto, soggiungeva una zia, acidula assai - ripeteva sempre la stessa solfa...eccoci qua, con i frutti del Paradiso, queste sono le mele del Paradiso terrestre. Io mi sono domandato in tanti anni come fosse possibile che Eva prima e Adamo poi, avessero potuto morsicarli quei frutti dalla buccia così tenacemente protettiva.


Non erano di una qualità particolarmente dolce, e, come d'abitudine, la domenica successiva alla visita, avremmo goduto del risotto al melograno; con gli altri si faceva uno sciroppo molto dissetante, da diluire in acqua.


Risotto al melograno

Si proceda per prima cosa a pulire i frutti di melograno, calcolando che uno basta per 3 o 4 persone, a seconda se siano molto ricchi di succo o meno. Si deve mondare ogni grano dalle fibre bianche, quindi si passano i chicchi in un normale passaverdura e se ne raccoglie il succo. Si proceda come normalmente si fa per un risotto: predisporre il brodo vegetale, la cipolla da far soffriggere nel burro o nell'olio, far saltare il riso nella quantità che occorre, e quindi bagnare con un buon vino rosso, nella quantità che occorre, procedere quindi a far bere il brodo al riso, fino a mezza cottura, quando si comincerà ad innaffiare con cucchiaiate di succo. A cottura ultimata, irrorare con il restante succo, mantecare con burro, e aggiungere della toma tagliata a piccoli dadini che possano sciogliersi nel caldo del riso; spolverare di pepe nero, se gradito, ma è meglio che ogni commensale provveda da sé nel suo piatto.

martedì 22 ottobre 2019

Del "destino" e dintorni.


Salutando i miei cari allievi, dopo una intensa seduta di psico-astrologia, ho raccontato questo antico aneddoto; antico, ma non troppo.

Molto tempo fa viveva nella terra di Isfahan un giovane che trascorreva la sua vita come servo di un ricco mercante. Un bel mattino il giovane si recò al mercato. Spensierato e con la scarsella piena di monete del mercante, per acquistare carne frutta e vino. Giunto al mercato vide la Morte, che si girò verso di lui come se volesse parlargli. Preso dal terrore il giovane girò il cavallo e scappò dirigendosi verso Samara. Sul far della notte, esausto, giunse davanti ad una locanda e prese una stanza che pagò con il denaro del mercante; si buttò sul letto, grato all’Altissimo, di essere sfuggito alla Morte. E si addormentò. Nel cuore della notte sentì bussare alla porta e la Morte entrò nella sua stanza. “Come hai fatto a trovarmi?” chiese il giovane, pallido e tremante “stamane eri al mercato di Isfahan”. La Morte rispose “Sono venuta perché dovevo raggiungerti, come è scritto, infatti quando ti ho visto stamane al mercato ho cercato di dirti che noi avevamo un appuntamento stanotte a Samara, ma tu non mi hai lasciato parlare, e sei fuggito”.

lunedì 21 ottobre 2019

Ottobre: i Cachi

Si stagliava stecchito e carico di frutti del color del sole, come a trattenere ancora un poco l'estate, che se ne era fuggita cedendo il passo alle nebbie, all'umido e alle giornate che presto si dileguavano nella notte. L'albero di cachi, il cachi, mi affascinava guardarlo dalla finestra, sul bordo del giardino.


Quasi mi dispiaceva che venissero raccolti quei frutti, che pure mi piacevano assai. I cachi vanno raccolti prima che si sfracellino al suolo, ma qualcuno riesce comunque a cader giù e dar lieto pranzo a uccelletti e insetti vari, e si devono consumare in un torno di tempo breve.
I cachi, che nome singolare che non ha plurale, anche se oggi tutti dicono caco anche se ne prendono uno soltanto. Caco. Cachi! I bambini si facevano un gran ridere per l'ovvio richiamo, sicché la zia un bel mattino spalancò uno dei suoi libri, tenuti nella considerazione di sacralità, Le piante alimentari e medicinali del dotto Amal,


e siccome era anche uno di quei giorni in cui si metteva in testa che dovevo far esercizio di lettura lo spalancò alla pagina Cachi, e calcando sugli accenti tonici, intimò: "Viéni quì e léggi!"


Così appresi che Kaki è una parola giapponese, che vuol dire semplicemente ' un frutto ', il frutto per eccellenza, che non è né singolare né plurale, e che si chiama così anche l'albero che lo produce. Siccome, non hanno granché di durata, e troppi non se ne possono mangiare perché, come in allora si diceva, stringono l'intestino, se ne fa un'ottima marmellata, la cui ricetta era in fondo alla pagina del libro del dottor Amal, che appresi molti anni dopo essere una gentile signora, Amalia Moretti Foggia, plurilaueata, prima donna pediatra in Italia, la quale cominciò a collaborare con alcuni giornali, ma fu costretta a celarsi dietro uno pseudonimo maschile per aver maggiore autorevolezza.

Marmellata di Cachi del Dr Amal, 
con piccola correzione di una delle zie

Si pesino e si facciano a pezzi i cachi che si hanno a disposizione, si mettano in una pentola; si aggiunga 125 gr di acqua, 250gr di zucchero, il succo di mezzo limone e un mezzo cucchiaino di zenzero in polvere per ogni chilo di frutto; si lasci sobbollire per almeno un'oretta; si invasi subitamente in barattoli sterili, coprendo con un velo di rum; si chiuda ermeticamente e si lasci riposare per almeno un mese.

domenica 20 ottobre 2019

Ottobre: il ginepro

Proprio laggiù, sul bordo di quel piccolo ruscelletto, un rivolo piuttosto, si ergevano impettiti due grossi cespuglioni di ginepro. Belli, orgogliosi del loro verde intenso, che spiccava netto alla fine di quel terreno sabbioso un poco scosceso, dove si seminavano le zucche; sembravano dire vieni; ma bisognava porre alquanta attenzione, perché è così facile finire in un ginepraio; le loro foglie così verdi, sono aghiforme e sembrano fatte apposta per metterti in difficoltà.


Sul finire dell'estate si riempiono di bacche di un inteso blu, che li rendeva ancor più seduttivi. 


Sul finire di Ottobre, si raccolgono, saranno di buona compagnia alla faraona o al brasato per il giorno di Natale, o per le tisane di chi soffrisse di disturbi della digestione o avesse la vescica infiammata, o, ma in allora non se ne faceva parola, sebbene l'uso fosse frequente, per quei dolori addominali, che si manifestano nelle donne, in età fertile, nei periodi in cui...in quei periodi lì, quando il marchese, la carlotta o la carolina, le signorine, insomma non fatemi dire oltre. 

La raccolta deve essere attenta e veloce, non bisogna schiacciare le bacche, bisogna prenderle delicatamente, scartando le foglie aghiformi, e metterle ad asciugare bene bene, che non prendano muffe. Poi si potranno utilizzare. Volendo anche per un ottimo liquore, che, con l'alibi di un appetito non esaltante o della difficile digestione può essere assunto, in piccole dosi si intende, prima o dopo i pasti. La zia Gin lo prendeva prima e dopo, così da averne quel soprannome, che in quel tempo lontano mi figuravo fosse una gentile forma di abbreviazione di Gina. 


Liquore di Ginepro 

Si pongano un etto circa di bacche, ormai seccate, nel mortaio e si rompano grossolanamente; si pongano in un'arbanella, e si copra il tutto con un mezzo litro di alcool extrafine da liquore; si aggiunga un chiodo di garofano, un cardamomo grande spezzettato, una buccia di limone ben lavata. Si lasci in infusione almeno tre settimane, meglio se in un luogo fresco al buio. Trascorso il tempo, si proceda alla filtratura, avendo cura di spremere il residuo nel colino, in modo che dia tutto il succo. Si prenda dunque mezzo litro di acqua e vi si mescoli 400gr di zucchero, si ponga al fuoco, e si lasci fino a quando una goccia su un cucchiaio tenda a scivolare con fatica; intiepidito che sia, si mescoli con l'estratto alcoolico. Si chiuda in bottiglie, e si aspetti almeno 3 settimane prima di farne uso. 


giovedì 17 ottobre 2019

Ottobre: Zucca 3

In fondo all'orto, nella parte che la collina scoscendeva verso un piccolo rivo, che divideva dal noccioleto, dove il terreno era più sabbioso e più insolato, e a separare dal rivo si trovavano dei grossi cespugli di ginepro, si seminavano le zucche massime, che si gonfiavano da luglio a settembre, e avevano spicchi ben definiti; la cucurbita maxima, produceva frutti più grossi e più pesanti delle altre, dal colore più pallido, un poco più schiacciate, e che erano destinate a durare più a lungo e soprattutto a finire come ripieno dei ravioli.


Bisognava riporle con cura sui piani degli scaffali, guardando bene che non si fossero create delle spaccature durante la raccolta, il trasporto a casa e la sistemazione. Una anche piccola frattura nella buccia le porta a rapido deperimento, per cui occorre consumarle subito, oppure farne marmellata fior d'oriente. Si chiamava così, credo, perché si utilizzavano spezie varie; la zucca, pur di buon sapore, abbisogna sempre di un rinforzo di gusto.


Marmellata Fior d'Oriente di Zucca Maxima

Ispezionare bene la zucca, spolverarla con cura, immergerla intera in acqua e bicarbonato per eliminare tracce di polvere o terra nel fondo delle piegature degli spicchi. Asciugarla bene, quindi tagliarla a fette, seguendo i solchi naturali, mondarla delle fibre e dei semi, sbucciarla con un coltellino affilato. Pesare la polpa ottenuta, tagliarla a pezzettoni e collocarla in una bacinella; per ogni chilo di polpa, aggiungere circa 400gr di zucchero, una stecca di cannella, un baccello di vaniglia, uno o due chiodi di garofano, un anice stellato, uno o due semi di cardamomo, una mezza noce moscata grattugiata, un bicchierino di liquore di amaretto, quello che si ottiene dai noccioli di albicocca, un limone spremuto e la buccia del limone ben lavata. Mescolare bene, coprire con un tovagliolo, e lasciar riposare una notte intera. La mattina dopo, di buon ora, eliminare con le pinzette lunghe tutte le bacche, bucce ecc, schiacciare grossolanamente la polpa o tagliuzzarla o meglio, cosa che oggi si può fare, passare il mixer e renderla una sorta di purea; collocare su un fuoco leggero, tale che appena sobbollisca, per circa un'ora. Quindi predisposti e sterilizzati i barattoli si proceda ad invasare. Già dopo una decina di giorni si può consumare sul pane a colazione o a pranzo con una porzione di formaggetta di quelle parti.

mercoledì 16 ottobre 2019

Ottobre: Zucca 2

Le altre, che l'orto forniva in ottobre inoltrato, e che bisognava raccoglierle il giorno prima che venisse il freddo, cosa assolutamente non facile da prevedere, così si stava guardinghi a guardare il cielo, e per non sbagliare si raccoglievano quando sembrava che..., ma spesso ci si sbagliava...era uno dei tanti giochi di quella campagna, dove si viveva in tanti, e comunque programmare il cibo per l'inverno non era poi così tanto un gioco. Quelle belle zucche rotonde di un arancione che balzava alla vista, erano molto produttive e ci si poteva tranquillamente fare pietanze salate e dolci; erano zucche di origine americana, che chiamavano savoiarde perché con le loro fette si faceva un piatto che appunto aveva quel nome, e qualcuno diceva che di quel tipo di zucca ne fossero ghiotti tutti alla corte dei Savoia. Racconti, tanti, in quei giorni in cui la televisione non aveva ancora catturato lo scambiarsi parole, quando i vecchi ripetevano le loro storie ai bambini, e ogni volta aggiungevano o toglievano particolari.


La zucca alla savoiarda.

Si mondi bene la zucca, se ne taglino delle fette, si pulisca da semi e parti interne, con cura massima, si tenga pure la buccia, che è commestibile; se ne facciano fette non troppo spesse, quante ce ne vogliono, a seconda dei commensali. Si adagino le fette su una pirofila unta, in modo che la parte con la buccia di una fetta si adagi sulla parte finale della fetta precedente e si lasci appassire un poco nel forno, in modo da ammorbidirla, per intanto si sarà provveduto a preparare una besciamella né troppo soda né troppo sciolta, vi si aggiunga un poco di toma grattugiata grossolanamente un poco di sale di noce moscata e di pepe nero; si versi la besciamella sulle fette di zucca fino a coprirle e si sparga una buona manciata di parmigiano. Si inforni fino a quando non apparirà una bella crosticina.

martedì 15 ottobre 2019

Ottobre: Zucca 1

Si fa presto a dire zucca! Quante ce ne sono, tonde lunghe schiacciate, lisce, rugose, gialle, verdi, grigie, persino bluastre. Si fa presto a dire zucca, che poi fa pure venire in mente quella che spregiativamente diventa uno zuccone. La zucca, nella forma e nel colore che più ci aggrada, ha il suo perché, che non è quello di finire svuotata per la festa di Halloween. Allora non si sapeva nemmeno cosa fosse. Da noi, molto banalmente, se ne faceva raccolto di zucche violino, alcune lisce, altre rugose,

Allora, l'unica festa della zucca era quella a Castellazzo Bormida, da cui arrivavano echi di zucche lunghissime, enormi, bellissime, come i pesci pescati dai pescatori, si favoleggiava fra narrazioni serali intorno alla stufa.


e di quelle belle tonde arancione schietto, chiamate savoiarda.



Con le prime, che durano l'inverno intero e magari anche oltre, si preparava un piatto semplice, ma buonissimo, di cui ho un ricordo gustativo proprio rotondo; me la sento ancora in bocca. 

Si puliva a fondo la zucca, utilizzando uno spazzolone di saggina, quindi dopo averla ben lavata si tagliava in due lungo l'altezza, si mondava dalle parti interne. Ogni metà adagiata su una teglia appena oliata veniva tagliata a fette di circa un centimetro l'una o poco più, poi si ricopriva di un trito di aglio e rosmarino, una spolverata di pepe nero, un filo d'olio, e si metteva a cuocere a fuoco lento nel forno della stufa.



Cotta che sia, così si porta in tavola, appena intiepidita, ora è un secondo, ora, in una pranzo di più alto livello, un contorno di un arrosto morto.

SATURNO - Maestro di Giustizia


Intervento tenuto giovedì 23 maggio 2019, presso lo Studio Novelli, Genova.



Saturno, mito e pianeta, gode a tutt’oggi di ottima fama; al di là di quella più nota al vasto pubblico, relativa alle indagini della missione spaziale Pioneer 11 prima, e della Sonda Cassini poi, intorno al pianeta, c’è un vasto interesse per Saturno, mito e divinità; negli ultimi decenni sono stati pubblicati non pochi libri, saggi e articoli su questo argomento, e cito volentieri due testi, uno a motivo del successo che ha avuto, che continua ad avere, e dei dibattiti che ha sollevato, il testo di Klibansky, Panofsky, Saxl, Saturno e la melanconia, pubblicato in italiano nel 1983 da Einaudi, derivato dall’edizione inglese del 1964, ma con alcune integrazioni rispetto a quella, e che ha originato poi, nel 1990, una traduzione in tedesco, con ulteriori aggiunte; oggi è considerato un testo chiave per chi voglia addentrarsi in questa tematica, che oscilla fra mitologia, filosofia e psicoanalisi, con il sostegno dell’arte nelle sue differenti espressioni, e che sostanzialmente indaga sull’aspetto di Saturno, oscuro pianeta, che induce verso la malinconia ed anche verso sublimi capacità; il secondo, uscito nel 2012, per i tipi della Giuntina, a cura di Moshe Idel, il più grande studioso vivente di mistica ebraica e di Cabalà, Gli ebrei di Saturno, e che ha avuto risonanza e vivace dibattito, sia presso gli studiosi di storia ebraica, sia presso gli studiosi di mistica e di mitologia, e infine presso gli astrologi, almeno quelli che non fanno dell’astrologia una mera pratica divinatoria[1], e che oggi, a dire il vero non sono più così pochi; il testo indaga su una relazione che ha contribuito a considerare gli ebrei negativamente, laddove a Saturno si attribuiscono qualità negative e persino malvage, tesi maturata anche all’interno dell’antigiudaismo cristiano, che estendeva la negatività saturnina alla negatività dei perfidi giudei, e qualità positive, attribuendo al concorso del pianeta un grande stimolo intellettuale, idea maturata all’interno di pensatori cabalistici, di provenienza sia ebraica sia cristiana, e all’interno di una buona parte dell’astrologia medievale e rinascimentale, ed in parte oggi ripresa dalle nuove correnti astrologiche.

lunedì 14 ottobre 2019

Ottobre: Dente di leone, dente di cane, cicoria selvatica

Taraxacum officinalis

Ognuno aveva il suo nome per quelle erbette dalle foglie spigolose e dai fiori gialli, che in ottobre facevano un'altra comparsa sul ciglio della strada carraia e persino a fianco del muretto a secco, che divideva la strada dall'orto.

domenica 13 ottobre 2019

Ottobre: Mele e pere

Nel giardino c'erano degli alberi di melette, così chiamate perché erano piccoline, in realtà erano mele carle; si raccoglievano sul finire di settembre o ai primi di ottobre, a seconda del clima.

Ottobre: Mele e pere

C'erano le melette e le perine; ho capito più tardi perché non ci fossero le perette, per la contiguità con quella pratica diffusa di tenere pulito l' intestino.
Le perine erano fornite da due alberelli, posti nel passaggio verso il cancellato che immetteva sull'aia; uno dava le broccoline, l'altro le volpine;

Vento dall'est
la nebbia è là
qualcosa di strano fra poco accadrà
Troppo difficile capire cos'è
ma penso che un ospite arrivi per me.

Un libro che parli di alimenti e che contenga ricette è da molti considerato un libro  leggero,  un libro che tratta di argomenti di facile ...